Sentenza della Corte su licenziamenti illegittimi PMI: “Cambiano solo le sanzioni, ma serve più prudenza”
A seguire l’intervento di Potito di Nunzio, Presidente dell’Ordine dei consulenti del lavoro di Milano e della Fondazione Consulenti del Lavoro di Milano, che si inserisce in un’analisi del tema sui licenziamenti illegittimi nelle PMI curato da Cristina Siciliano (per la lettura integrale dei testi si puo’ cliccare qui)
Sulle implicazioni concrete della sentenza n. 118/2025 per il mondo delle micro e piccole imprese interviene anche Potito Di Nunzio, presidente dell’Ordine dei consulenti del lavoro di Milano, secondo il quale la decisione della Consulta non modifica le regole sostanziali che disciplinano il licenziamento. “La gestione del licenziamento resta la stessa perché la sentenza non interviene sui presupposti sostanziali, che restano la giusta causa e il giustificato motivo – fa sapere -. Tuttavia, le PMI devono ora tenere ben presente che un licenziamento non fondato o non pienamente proporzionato ai fatti può avere ricadute economiche molto più rilevanti rispetto al passato.
Mentre in passato il rischio di licenziare ‘male’ era contenuto, perché al massimo si dovevano mettere in conto sei mensilità di RUT (retribuzione utile al calcolo del TFR), oggi il licenziamento non giustificato può costare fino a 18 mesi in base alle valutazioni del giudice, che terrà conto della complessiva situazione aziendale sia a livello economico che organizzativo, oltre che al grado di illegittimità dell’azione datoriale”.
Questo significa che le imprese dovranno valutare con maggiore prudenza e responsabilità la scelta di interrompere un rapporto di lavoro. I consulenti del lavoro possono rappresentare, in tal senso, una sicurezza in più per le imprese, per evitare decisioni affrettate. “Se cambia il quadro sanzionatorio, non cambia però il dovere di consigliare sempre comportamenti improntati alla correttezza e al rispetto della normativa”, precisa Potito.
La “revisione” Jobs Act scoraggia le assunzioni? “No, ma resta il problema dei costi”
L’esperto sottolinea che, contrariamente a possibili timori, la nuova decisione non scoraggerà le assunzioni, almeno non nelle realtà più strutturate e responsabili. Anzi, la progressiva uniformazione delle tutele tra lavoratori di grandi e piccole imprese potrebbe generare un effetto espansivo sull’occupazione. “Se le differenze tra le tutele si assottigliano, le aziende non temeranno più di superare la soglia delle 15 unità – continua -. Questo potrebbe incentivare l’espansione occupazionale anche tra le PMI”.
Resta però aperta la questione della sostenibilità di un sistema che differenzia le tutele solo sulla base del numero dei dipendenti. Come sottolineato anche dalla Corte costituzionale, la forza economica di un’impresa oggi non dipende più solo dalla dimensione occupazionale. “Ci sono piccole imprese che operano con altissima tecnologia e fatturati importanti, ben più solide di altre aziende formalmente più grandi ma legate a sistemi produttivi obsoleti. La differenza di trattamento non è più giustificabile, né sotto il profilo economico né costituzionale”, aggiunge.
La sentenza, secondo Potito di Nunzio, rimette al giudice un compito delicato ma fondamentale: calibrare la sanzione in base a criteri equi e proporzionati, evitando automatismi. Tuttavia, il vero problema delle PMI non sta nella maggiore tutela riconosciuta al lavoratore, ma nei costi generali del sistema e nella burocrazia. “Il nodo da sciogliere resta il peso eccessivo del costo del lavoro e la rigidità burocratica nella gestione del personale. È su questi fronti che si gioca la vera competitività delle PMI”, conclude.
